Generazione romantica di Jia Zhangke

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In un film ellittico, taciturno e parzialmente respingente come Generazione romantica (Fēngliú yīdài, 2024), ultima opera del rappresentante di spicco della (post-)sesta generazione del cinema cinese Jia Zhangke, ogni risorsa può risultare provvidenziale per la sua interpretazione. Una chiave di volta potrebbero essere considerate le frasi delle svariate canzoni popolari e pop che contrassegnano il film. Un’altra, molto più esplicita, potrebbe essere, invece, il titolo stesso dell’opera. La “generazione romantica” (traduzione il più possibile aderente al titolo originale) alla quale si riferisce Jia è un concetto letterario nato in Cina negli anni Settanta, un movimento che bramava il cambiamento e lo esaltava come forza motrice del Paese. Eppure questo slancio “romantico” appare del tutto assente nell’esile storia di Qiao Qiao (Zhao Tao) e Guao Bin (Li Zhubin), che fuggono e si inseguono a vicenda nell’arco di ventuno anni: nel 2001 Bin decide di lasciare Datong per cercare maggior fortuna Fengjie; cinque anni dopo Qiao decide di raggiungerlo, constatando però che la loro relazione è ormai finita; infine nel 2022, durante la pandemia di covid-19, Bin fa ritorno a Datong sperando di ricongiungersi, in vecchiaia, con Qiao.
Cosa ne è quindi dell’entusiasmo a cui si riferisce il titolo? È l’euforia di un Paese intrappolato in un perenne processo di evoluzione demografica, urbanistica e tecnologica che, per potersi realizzare, necessita del sacrificio dei suoi stessi cittadini. Ecco allora che il titolo inglese, Caught by the Tides, restituisce le ombre insite in questo ritratto ambivalente, contemporaneamente patriottico e spietato nei confronti della madre patria. A opporsi all’amore tra i protagonisti è quindi la presenza spettrale di un bene comune che prevarica quello individuale e prosciuga inesorabilmente qualsiasi dialogo umano. Jia infatti proibisce, nei rari momenti in cui Qiao e Bin sono insieme, non solo la parola – in una scena vengono addirittura utilizzati gli ormai desueti cartelli –, ma anche la vista – i raccordi di sguardo sono quasi completamente assenti e frequentemente i due si danno le spalle.
La marea alla quale si riferisce il titolo inglese è quindi proprio quella della collettività imposta, dello sprofondamento di intere città nelle riserve d’acqua della nuova avveniristica diga delle Tre gole – luogo già esplorato nel Leone d’oro Still Life (Sānxiá hǎoréni, 2006) –, della fiumana di persone che corrono in strada durante il coprifuoco, un’attività fisica organizzata dallo stato che evidenzia al contempo l’adesione dei cittadini alle politiche nazionali e la loro sempre più esacerbata distanza reciproca.
Momento ancor più esemplare di questa crepa è il dialogo surrealmente umano tra Qiao e un robot dotato di Intelligenza Artificiale in un centro commerciale. Per la prima volta nell’intero film osserviamo un vero scambio empatico: l’automa scruta lo sguardo di Qiao e, notando la tristezza nei suoi occhi, cerca di risollevarla dispensando citazioni letterarie, alle quali Qiao risponde con un sorriso. Un’esaltazione dell’evoluzione tecnologica – dimostrata anche dall’uso all’interno del film di materiali filmici di epoche differenti – che palesa però l’atrofizzazione emotiva del popolo cinese. Una moderna rappresentazione dell’incessante lotta tra la poderosa immagine di sé che la Cina vorrebbe esportare e quella ambigua che invece giunge ai nostri occhi. Sineddoticamente, questa scena rappresenta quindi Generazione romantica: un ritratto incredibilmente sfaccettato capace, come tutte le opere del regista, di mutare in relazione a chi l’osserva. Del resto, è questa l’unica maniera per poter produrre opere ideologicamente libere tra le strette maglie del governo cinese.
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