Ci sono corpi e corpi, nel cinema.
Danzano nella memoria, come ombre impresse su pellicole consunte. Amano, fuggono, si offrono. Sacrificabili e sacrificati, veri e immaginati, organici e meccanici. Nel cinema, il corpo è memoria, politica, identità. Nel buio di una sala, esso diventa linguaggio. I fratelli Lumière furono i primi a intuire che il corpo, nella sua presenza viva, avrebbe reso quella della settima arte un’esperienza condivisa: contro il singolo sguardo del Kinetoscopio edisoniano opposero la magia collettiva di corpi riuniti nell’ombra, dove il cinematografo stesso si fa organismo pulsante e la sala di un caffè si traduce in spazio uterino capace di generare meraviglia. Sullo schermo, ogni fotogramma è un battito, ogni movimento un respiro, un gesto che resiste all’oblio. Il corpo dell’altro ci diventa vicino, si fa specchio, soglia, domanda.

Ci sono corpi e corpi, nel cinema.
Indagano i confini dell’identità visibile – l’erotico proibito, l’ingranaggio ibrido, il martoriato esposto. Ognuno specchio e strumento, simbolo e simulacro; una superficie che riflette e al tempo stesso altera, che rivela e dissimula. Con i corpi, il mondo si fa teatro. Raccontarli è raccontare noi stessi: anime vincolate da una carne custode, contenitrice di un sapere profondo. Noi di Strade Perdute ci abbiamo provato, con un numero che si fa tessitura viva del nostro viaggio editoriale: dalle origini di corpi nuovi, neonati – ai confini di un corpo ai margini, fino al riconoscimento alieno dell’organismo ignoto. Ogni capitolo da noi percorso finora trova un punto di convergenza, qui. Da fondale silenzioso a protagonista assoluto. In questo numero, il corpo si fa finalmente nucleo, essenza e fondamento.
editoriale di Zatch
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