Love di Dag Johan Haugerud

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Love di Dag Johan Haugerud

Che poi, cos’è l’amore? Il cinema si pone spesso questa domanda. Alcune volte spinto dal mercato, altre – un po’ più rare – per far nascere un discorsoQuest’ultimo potrebbe essere il caso di Dag Johan Haugerud che, però, dimostra con il suo Love (2024) l’intento di porsi una domanda ben più essenziale: c’è un solo modo di amare? Il regista norvegese prosegue così la sua trilogia dedicata alle relazioni umane, iniziata con il film Sex (2024) e terminata in Dreams (2024). Love è un film che porta lo spettatore a riflettere sul concetto di amore come esperienza mutevole e mai davvero identificabile: in qualsiasi forma si presenti, questo sentimento non è mai tronfio, né retorico, ma si manifesta come necessità e scoperta, sperimentazione e indagine di sé. I personaggi si descrivono e analizzano attraverso le parole, all’interno di un flusso di coscienza che predilige il dialogo quieto e la comprensione reciproca, dove spesso la soluzione più ricorrente è semplicemente quella del confronto immoto; un tipo di staticità tipica di chi si trova in un momento di limbo vitale. I due protagonisti – Marianne (Andrea Bræin Hovig) e Tor (Tayo Cittadella Jacobsen), entrambi medici – oscillano tra le analisi quasi matematiche dei loro pazienti e la libera ricerca di un ardore autentico, indagando separatamente la propria sessualità e ricercando il proprio significato della parola amore.  

Love basa il racconto su uno stile estremamente scarno, volto a mantenere lo spettatore con i piedi per terra; l’estetica da cartolina sembra quasi aiutarci a ragionare sulla concretezza degli argomenti trattati, poiché in Love non c’è spazio per l’amore da favola. Anzi, ciò che permea la pellicola è un costante rimando alla morte, alla vulnerabilità dei nostri corpi e all’essenzialità dei legami nei momenti di difficoltà. Per Haugerud amarsi è una continua giostra, è un percorso incostante. Mutevole, per l’appunto. Tor puntualizza spesso – rivolgendosi a Marianne, ma non solo – la sua libera visione delle relazioni: una passione autonoma rispetto al tempo, fugace e non per forza duratura, che prediliga un sentimento ineffabilità e dal valore transitorio. Marianne, a sua volta, vive di appuntamenti al buio e avventure occasionali.

Di conseguenza, se in Dreams Haugerud ritrae l’infatuazione inconsapevole di una ragazza, in Love ricerca quel filo conduttore che lega indistintamente ogni rapporto umano: la compassione per un giovane paziente, le chiacchiere con un amico, la conoscenza effimera di uno sconosciuto che potresti non rivedere mai più. Il tutto guidato da uno sguardo imparziale, intento a costruire un lento e continuo dialogo tra noi e i personaggi al punto di ancorare per diversi minuti la macchina da presa di fronte alle varie coppie, accogliendo la nostra partecipazione al discorso. Ed ecco che l’autore ci offre l’opportunità di interrogarci nuovamente sull’infinito e sempre diverso spettro dei rapporti umani, laddove ogni parola non detta, ogni pausa, ogni sguardo può racchiudere un intero mondo emotivo. È in questa apparente frivolezza che si cela la forza del suo cinema: un ritratto chiaro e pacato che, privo di orpelli narrativi, ci rivela la tensione sottile tra l’individuo e il suo bisogno di riconoscersi nell’altro. 

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Pubblicato il:

20 Aprile 2025

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