The End di Joshua Oppenheimer

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The End è il primo film narrativo dell’acclamato documentarista Joshua Oppenheimer, che con quest’opera allegorica ha voluto esplorare e mescolare tutte le potenzialità e artifici del cinema di finzione. In ugual parte musical fantascientifico, dramma da camera e satira nera, The End vede una famiglia borghese costretta a isolarsi in un lussuoso rifugio all’interno di una salina, a seguito di un’apocalisse ambientale. Per più di vent’anni, due intellettuali – interpretati da Tilda Swinton e Michael Shannon – hanno tenuto sotto controllo ogni aspetto della vita del figlio, indottrinandolo con rigide lezioni che spaziano da arte e letteratura a intense prove di sopravvivenza, fino a quando la loro ripetitiva routine non viene interrotta dall’improvvisa comparsa di una giovane donna, di cui subito sospettano.
Nel film, George Mackay – noto per il dramma storico 1917 (Sam Mandes, 2019), ma già salito alla ribalta grazie al musical Sunshine on Leith (Dexter Fletcher, 2013) – interpreta un giovane fragile e iper-protetto che, rinchiuso nella bolla del bunker, può conoscere il mondo esterno e cosa vuol dire essere umani solo attraverso le informazioni e le bugie della sua famiglia. La misteriosa donna, quindi, con le sue nuove prospettive e speranze, non può che affascinarlo immediatamente, facendogli scoprire quel tipo di amore euforico e ottimista che può esistere solo sotto forma di delirio onirico, grazie a numeri musicali che si rifanno maggiormente ai musical anni ’50 e ’60 à la Jacques Demy, piuttosto che agli spesso caotici e rumorosi musical moderni.
The End esplora la dualità di una famiglia-società che serve tanto da prigione quanto da unica sicurezza e conforto. In questo mondo al contempo orrificante e fantastico, i giovani sono disorientati ma volenterosi, mentre gli adulti, la cui generazione ha distrutto il pianeta costringendo i pochi sopravvissuti a rifugiarsi e isolarsi nel buio e nell’ignoranza, si atteggiano ancora con passività, giustificando ogni loro colpa ed egoismo.
Il dinamismo delle performance incapsula perfettamente questi sentimenti, contrastando dialoghi intimisti, di un realismo spesso brutale, a bizzarre canzoni favoleggianti registrate dal vivo, la cui teatralità ci dona un’inquietante patina di falsa felicità. Anche le splendide scenografie riflettono questo dualismo. La camera si muove fluida tra l’opulenza e la ricchezza delle eleganti stanze, per poi trasportarci a 500 metri di profondità nelle vaste e spettrali miniere di salgemma del parco della Madonie, dove il film è stato girato e dove ogni ombra ci ricorda del mito della caverna.
Joshua Oppenheimer sembra aver compreso che nella disperazione e orrore del reale, i musical si raffigurano come lo strumento cinematografico del fantastico e dell’auto-illusione per eccellenza. The End si costituisce quindi come opera fortemente politica, che ci offre lezioni di empatia e speranza, e serve come presa di coscienza sulle responsabilità e colpe della nostra società. Nonostante ciò, data l’ampiezza dei suoi temi e delle sue intenzioni, a differenza dei lavori precedenti del regista, il film non sembra presentare alcun nuovo punto di vista. Ironicamente questo musical, che tenta di bilanciare toni e temi cupi con un movimentato ottimismo e colore, risulta spesso piatto e disarmonico. The End va comunque lodato per la sua ambizione e per la chiara visione artistica di un autore da sempre impegnato nell’illuminare i recessi più reconditi dell’umanità.
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