Madame Ida di Jacob Møller
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Due occhi scuri e profondi, un viso pulito senza ombra di trucco e una veste troppo larga: Cecilia corre nel vento, sta scappando. Ma dove andare? Madame Ida (2024) ci catapulta negli anni 50, in un orfanotrofio della Danimarca. Qui vive Cecilia, quindicenne abbandonata alla nascita, la quale si ritrova in una situazione spaventevole: rimasta incinta dopo uno stupro, sarà costretta a trasferirsi per il periodo della gravidanza. Nella casa in cui vivrà ci saranno due donne, Ida e Alma, il cui compito sarà occuparsi di lei e, in seguito, del bambino. Dopo il parto è infatti previsto un ritorno all’amara quotidianità dell’orfanotrofio, come se tutto non fosse mai accaduto. Tuttavia, il rapporto tra le tre donne risulterà più controverso del previsto.
Genitorialità, crudeltà e solitudine: questi i principali temi del lungometraggio di esordio di Jacob Møller, vincitore del premio per la miglior interpretazione alle tre attrici protagoniste alla 42ª edizione del Torino Film Festival. Cosa vuol dire essere genitori? Il tema della maternità viene sviscerato suscitando nello spettatore questioni come la cura che bisogna porre nei confronti dei bambini, l’importanza della genitorialità biologica, ma anche quanto una distrazione possa essere fatale. Altra tematica affrontata dall’opera è di certo la violenza: stupri, soffocamenti e morti animali caratterizzano un mondo cupo e crudele. Infine, la solitudine: se Cecilia e Alma si sono ritrovate sole in seguito all’abbandono dei genitori, Ida ha scelto di isolarsi dopo un tragico incidente, sbattendo le porte in faccia alla sua vita precedente. In particolare, il passato di Ida sembra rifarsi a Il grande Gatsby (2013): feste sfarzose e appariscenti, ricche di alcol e in cui, alle volte, tra gli invitati vi sono pure animali. Inoltre, ad accomunare Ida e Gatsby vi è la sofferenza, in quanto vengono entrambi raffigurati come persone sole che patiscono la mancanza di una persona cara. Il film gioca molto anche sulla tensione, tenendo sulle spine lo spettatore. I traumi e il passato dei personaggi vengono infatti rivelati dopo gran parte della narrazione, la quale è al contempo caratterizzata da una forte ambiguità: nonostante il titolo paia chiaro, Madame Ida non è di certo l’unica protagonista di un racconto in cui fin da subito si seguono le vicissitudini di Cecilia.
Il film cerca forse di suscitare incertezza nello spettatore il quale è titubante su dove l’opera voglia andare a parare o, meglio, su quale personaggio voglia nell’effettivo approfondire, ma al tempo stesso rimane incuriosito. Per quanto riguarda l’estetica, ambientazioni e inquadrature giocano a ricreare l’atmosfera desolante del film. La presenza di Aurora, una villa ampia ed elegante, è in contrasto con la tetra solitudine della sua proprietaria, così come i frequenti giochi di luci e ombre paiono enfatizzare la contrapposizione tra lo sconsolante destino di Cecilia e l’apparente bellezza del mondo esterno, contribuendo così a caratterizzare i sentimenti dei personaggi. A sostegno dell’atmosfera vi è poi la recitazione delle tre protagoniste, le quali sembrano spesso apatiche nei confronti di tutto ciò che le circonda, seppur ognuna con le proprie particolari caratteristiche: se Flora Ofelia Hofmann Lindahl (Cecilia) appare spesso spaventata e indifesa e Sarah Boberg (Alma) paziente e rassegnata, Christine Albeck Børge (Ida) si rivela capace di sfociare in travolgente nervosismo e impetuosa follia. I personaggi risultano realistici, verosimili nel contesto in cui vivono. Elementi criptici della narrazione risultano forse solo la presenza dei granchi i quali, seppur affascinanti elementi visivi, peccano di una chiara funzionalità al racconto, così come il finale, di impatto ma non risolutivo.
In conclusione, di certo i temi trattati da Madame Ida non sono leggeri. Ad aggiungersi ai citati il desiderio delle protagoniste di realizzarsi attraverso altri: che sia una figlia o una donna servita per tanti anni, i personaggi mancano spesso di una propria individualità e indipendenza. Al contempo, nonostante l’ambientazione in un mondo distante da molti di noi – a livello temporale, geografico e umano – Jacob Møller tende una mano allo spettatore trascinandolo nell’universo da lui narrato. Ad ogni modo, di certo meritato il riconoscimento alle interpretazioni delle attrici protagoniste, coerenti con l’atmosfera sofferente del lungometraggio e di forte impatto sullo spettatore.
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