L’ultimo turno di Petra Volpe

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Acclamato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino lo scorso febbraio, L’ultimo turno (Heldin, 2025), il nuovo dramma della regista svizzera Petra Volpe, si rivela da subito un thriller sociale pieno di nuances. Con un approccio da realismo documentaristico, il film si svolge interamente durante una giornata tipo dell’infermiera Floria Lind (Leonie Benesch), seguendo la distruttiva routine di un sovraffollato reparto oncologico a corto di personale.
Unendo lunghi piani sequenza a dettagliati e rapidi montaggi, L’ultimo turno ci tiene con il fiato sospeso non lasciandoci mai un attimo di pace. La camera si muove fluida mentre Floria si sposta in continuazione di stanza in stanza, sopraffacendoci con la sua ingestibile mole di lavoro. In ogni inquadratura i personaggi sono sempre impegnati, e, anche quando tutto sembra fermarsi un attimo, c’è comunque qualcosa da fare – e per noi qualcosa da guardare. L’ottima regia guida il nostro sguardo, insegnandoci in fretta una routine fatta di gesti, abitudini e ripetizioni, portando lo spettatore ad immedesimarsi completamente nell’azione, come se ci spostassimo assieme a Floria, volendo quasi anticipare i suoi movimenti. Le sue mani esperte diventano le nostre, le sue esitazioni e preoccupazioni inespresse divengono istintivamente i nostri stessi pensieri. Persino i sintetici ed essenziali dialoghi sono in grado di presentarci l’intero microcosmo di ogni paziente che incontriamo, così che, quando li esaminiamo assieme a lei, ci sembra di averlo già fatto durante il turno precedente.
A guidare l’intera pellicola con sottigliezza emotiva è la performance tour-de-force dell’attrice tedesca Leonie Benesch, salita alla ribalta nel 2009 con Il nastro bianco di Michael Haneke e che due anni fa ha ricevuto numerosi premi per un’altra intensa interpretazione nel dramma La sala professori (2023), entrambi nominati ai Premi Oscar come miglior film in lingua straniera.
A livello superficiale L’ultimo turno può sembrare un thriller in cui non accade nulla di straordinario; tuttavia, nella sua estrema semplicità, riesce a creare tensione in ogni gesto quotidiano, tenendo il pubblico incollato allo schermo per tutti i suoi novanta minuti. Ogni respiro, sguardo e movimento diventa azione. Il semplice spacchettamento di una siringa, l’attaccare un’etichetta su una fiala, il controllo della pressione, le porte che si aprono e chiudono ad ogni spostamento e il telefono che squilla continuamente diventano scene d’azione perfettamente coreografate, mentre il parente di una paziente che ci osserva in attesa dal fondo del corridoio riesce a instillarci tanta ansia e suspence quanto una bomba sul punto di esplodere. Mantenendo un ritmo forsennato per l’intera durata della pellicola, la meticolosa penna e lente di Petra Volpe ha saputo organizzare il suo tempo ed utilizzarne ogni momento con precisione chirurgica, donandoci finalmente un film durante il quale è impossibile distrarsi. L’ultimo turno ha provato ancora una volta che un’opera indipendente di medio o basso budget sapientemente costruita è in grado di creare un’atmosfera angosciosa e tesa senza che vi sia bisogno di esplosioni e inseguimenti, e può suscitare emozioni senza necessitare di commoventi monologhi ad effetto né grandi lacrimoni.
Come menzionato al termine del film, la Svizzera – come l’Italia – sta vivendo una grave crisi sanitaria dovuta dalla carenza di personale, il quale si ritrova quindi costretto a lavorare in turni estenuanti e sottopagati, in una situazione drammatica che sembra dovrà peggiorare di anno in anno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima infatti che nel 2030 mancheranno già circa 13 milioni di infermieri in tutto il mondo. Come colpo di grazia finale, L’ultimo turno ci ricorda che ciò che abbiamo appena guardato non è solo un thriller-dramma d’intrattenimento, ma bensì un’emergenza e crisi reale. Floria corre, estenuata e spossata, cercando di contenere l’imminente catastrofe di cui siamo e saremo tutti vittime.
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