Una scomoda circostanza – Caught Stealing di Darren Aronofsky

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Una scomoda circostanza - Caugth Stealing di Darren Aronofsky

Alle porte della 82esima edizione della Mostra di Venezia, Una scomoda circostanza – Caught Stealing, il nuovo film di Darren Aronofsky, giunge direttamente nelle sale italiane eludendo la competizione lagunare. Il cineasta statunitense, grande assente al Lido avendo già vinto con The Wrestler (2008) il Leone più ambito, dirige una thriller comedy rocambolesca e adrenalica, assecondata da un montaggio altrettanto rapido.

Tratto dall’omonimo romanzo del 2004 firmato da Charlie Huston – autore anche della sceneggiatura –, il film ruota attorno a Hank Thompson (Austin Butler), ex promessa del baseball e tifoso sfegatato dei San Francisco Giants costretto ad abbandonare i suoi sogni di professionismo a causa di un grave incidente automobilistico. Ad incorniciare le peripezie di Hank è una New York di fine millennio pullulante di personaggi ambigui e grotteschi: Russ (Matt Smith), il vicino di casa punk con una cresta molto evidente; la machiavellica detective Roman (Regina King); i religiosi ma spietati Lipa (Liev Schreiber) e Shmully (Vincent D’Onofrio); i sadici Pavel (Nikita Kukuškin) e Aleksej (Jurij Kolokol’nikov) – due coppie di criminali che metteranno a ferro e fuoco ogni luogo. Saranno proprio quest’ultimi a irrompere nell’appartamento di Hank, in uno dei più proverbiali “persona sbagliata al posto sbagliato”. La mafia russa, infatti, lo riterrà complice del suo vicino di casa, tornato a Londra per andare al capezzale del padre, non prima di aver celato un oggetto di vitale importanza per i malavitosi sovietici e non solo. Si innesca così una caccia all’uomo concatenata. Nel frattempo che Hank cerca di ripercorrere le orme di Russ, egli stesso si ritroverà braccato dai gangster, i quali ribadiranno più volte sul suo corpo il loro desiderio di tornare in possesso del bottino nascosto da Russ.

Ed è proprio il fisico del protagonista a racchiudere l’essenza di Una scomoda circostanza. Il suo, infatti, è un corpo martoriato – caratteristica tipica del cinema di Aronofsky: il ginocchio segnato dall’errore che continua a perseguitarlo, il volto emaciato dai continui pestaggi dei mafiosi, i punti di sutura incapaci di cicatrizzarsi, tutti elementi che concretizzano empiricamente l’amarezza dell’esistenza. «It’s a sad world. A broken world!» ripeteranno infatti Lipa e Shmully.

Aronofsky imbastisce un’opera in perenne movimento, piena di ribaltamenti, sorprese e, in senso letterale, inseguimenti – tra le scale antincendio, in un negozio di alimentari, in un parco e in spiaggia. Il tono oscilla costantemente tra farsa e tragedia, sfruttando la violenza per navigare tra i registri. Esplicita, mai iperrealistica, spettacolarizzata, coreografata, grottesca: la brutalità funge da collante della commedia nera firmata Aronofsky. Un inferno in terra che si materializza nella New York – lurida, claustrofobica e insudiciata dalle sfarfallanti luci al neon – fotografata da Matthew Libatique (storico collaboratore di Aronofsky).

Il risultato è un film che rifugge facili consensi e l’impatto emotivo di precedenti lavori come The Whale (2022). Al contrario, lo spettatore rimane disorientato, coinvolto in un incubo assurdo e viscerale. Eppure, proprio in questa ambiguità, Aronofsky sembra aver ritrovato una certa libertà creativa: giocando con i generi, ne esce un’opera viva, disturbante e autoironica.

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Pubblicato il:

31 Agosto 2025

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