Un semplice incidente di Jafar Panahi

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Se ti cacciano dalla porta, rientra dalla finestra è il detto iraniano con cui lo scorso mese Jafar Panahi, onorato con il premio alla carriera alla Festa del Cinema di Roma, ha deciso di introdurre il suo nuovo film Un semplice incidente.
Grazie al movimento “Donna Vita Libertà” si è aperta una nuova pagina della storia dell’Iran, e, a seguito di molte proteste e alla sospensione del suo divieto di espatrio, proprio quest’anno Panahi ha potuto lasciare l’Iran per la prima volta dopo quindici anni, andando a ritirare la meritatissima Palma D’Oro all’ultimo Festival di Cannes. Il pluripremiato regista de Il palloncino bianco (1995), This is not a film (2011) e Gli orsi non esistono (2023), è stato imprigionato numerose volte con l’accusa di propaganda contro il regime iraniano, ed è tornato in libertà nel 2023 dopo aver passato sette mesi in prigione per aver protestato e indagato su l’incarcerazione di altri cineasti e intellettuali iraniani. Le difficili circostanze politiche, però, non hanno mai fermato Panahi e la sua fidata troupe, che infatti torna ora in sala con Un semplice incidente, un film ancora una volta girato clandestinamente, con l’aiuto di produzioni franco-lussemburghesi, per poi essere distribuito legalmente solo al di fuori dell’Iran.
L’ultimo capolavoro di Panahi è una commedia sociale, la cui semplice storia può suonare più triste e drammatica di come sia stata rappresentata. L’azero Vahid (Vahid Mobasseri), riuscito finalmente a rientrare nella quotidianità della sua autofficina dopo essere stato imprigionato dal regime iraniano, per caso riconosce in uno dei suoi clienti l’inquietante cigolio della protesi alla gamba di un ufficiale dei servizi segreti che l’ha torturato per anni, e, in un raptus, decide di rapirlo, rinchiudendolo dentro un baule nel suo furgone. Ma come può essere sicuro che l’uomo che ha appena drogato e quasi ucciso sia proprio il suo violento aguzzino, quando, come ogni prigioniero, è sempre stato imbavagliato e non può che riconoscerne vaghi dettagli? Vahid decide quindi di trasportare in giro quest’uomo anonimo, il cui corpo privo di sensi ancora incute terrore e rabbia, perché possa essere identificato da altri traumatizzati ex-prigionieri – la fotografa Shiva, la giovane Golrokh con il suo futuro sposo Ali e il suo vendicativo e iracondo ex, Hamid – i quali però si scoprono pieni di dubbi e sentimenti contrastanti tanto quanto Vahid. Da qui in poi Un semplice incidente si trasforma in un road movie, nel quale questa combriccola disperata viaggia per un giorno intero da una bizzarra situazione ad un’altra, tra le strade di Teheran e il deserto, da un set fotografico per matrimoni ad un ospedale, tra le buone intenzioni e la corruzione. Ma se l’uomo fosse davvero lui, cosa ne faranno? Seppellirlo vivo? Costringerlo a confessare e a pentirsi di tutti i crimini commessi? Riusciranno a rimanere umani e razionali anche dovendo confrontarsi con chi li ha privati della loro stessa umanità?
Un semplice incidente è tanto un thriller sui dilemmi morali quanto una farsa e satira nera che parla di vendetta e violenza con nuance. Il film ci illustra la banale normalità di vivere sotto una tirannia, dovendo fare i conti con le proprie ferite emotive e il possibile perdono. Panahi ha sempre considerato le sue opere come film sociali e mai in quanto cinema politico, poiché vede l’accezione ‘politico’ come film di partito, che profila le persone come divise in fazioni, in quanto buone o cattive. Egli giustamente non crede che nella realtà questi due aspetti siano assoluti, e quindi dovrebbe esserci uguaglianza in come i diversi personaggi vengono rappresentati, così che possano esprimersi liberamente, qualsiasi siano le loro opinioni, idee politiche ed esperienze, senza che vengano giudicati dalla camera.
Alla presentazione del film, Jafar Panahi ha spiegato al pubblico italiano come il regime iraniano abbia reso ogni festività religiosa austera, obbligando la popolazione a festeggiare ogni evento – anche quando personale come un matrimonio – con serietà e rigore, dovendo rispettare le leggi della shari’a. Il film ha quindi voluto riportare allegria e leggerezza nelle loro tradizioni, proprio come viene sentita dalle persone ma mai concessa apertamente. Il regista nota inoltre che nella società iraniana è tipico fare battute e trovare umorismo durante le situazioni più tragiche, anche come meccanismo di difesa e sopravvivenza. Il film vuole quindi rispecchiare e celebrare questo spirito, narrando una storia difficile dai temi ‘pesanti’, con la struttura caotica e situazionale di una commedia.
Nel docudrama Taxi Teheran (2015), la nipote de Panahi gli legge le regole da dover rispettare per poter fare un film sotto il regime iraniano, tra cui: tutte le donne devono sempre portare il velo, non possono esserci contatti fisici tra uomini e donne non sposati, non può esserci violenza né nessuna menzione di questioni politiche o economiche. Ognuna di queste regole e molte altre sono state ancora una volta trasgredite in Un semplice incidente, riuscendo nuovamente a filmare tra le strade di Teheran, in mezzo alla gente, cercando di non essere notati dalla polizia morale. Panahi, infatti, si è sempre rifiutato di sottomettere i suoi film alla censura del regime iraniano, dovendo quindi realizzarli senza permessi, utilizzando attrezzature e telecamere poco vistose, e fidandosi completamente di ognuna delle persone che vi lavora. Panahi parla infatti degli attori e della troupe di questo film come dei coraggiosi protestanti il cui amore per il cinema viene prima di ogni cosa. Effettivamente è impressionante come una piccola troupe cinematografica, i cui membri sono obbligati a svolgere più ruoli del solito, sia riuscita a coordinarsi perfettamente senza che lo stress delle condizioni in cui si è ritrovata la produzione abbia influenzato la qualità del loro lavoro.
Un semplice incidente è un pugno allo stomaco che ha trovato un perfetto equilibrio tra tragedia e commedia, in un modo in cui solo un film realista può incapsulare. Jafar Panahi ha voluto creare un film per il futuro Iran, domandandosi cosa accadrà tra gli oppressi e gli oppressori una volta che la Repubblica Islamica crollerà. Egli è infatti intenzionato a tornare in Iran dove continuerà a protestare e a fare cinema, perfettamente consapevole che, come conseguenza alla realizzazione di questo film e del suo successo, rischierà nuovamente di tornare in carcere.
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