Blade Runner: The Final Cut di Ridley Scott

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1982. Debutta nelle sale cinematografiche Blade Runner, diretto da Ridley Scott, film liberamente ispirato al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick.
2007. Dopo 25 anni e sei versioni differenti viene distribuita l’opera definitiva, realizzata con totale libertà artistica dal regista.
Blade Runner è ambientato in una Los Angeles distopica, inquinata.
È il 2019. Rick Deckard (Harrison Ford) è un agente incaricato di eliminare dal pianeta Terra gli androidi creati per lavorare nelle colonie spaziali. Quando un gruppo di replicanti – così vengono definiti queste macchine di costruzione e dalle sembianze umane – fugge dalle colonie extramondo, Deckard viene costretto a dar loro la caccia. Queste macchine sono identiche agli esseri umani, tranne che per la durata limitata della loro esistenza e per la presunta incapacità di provare sentimenti. Quella che a prima vista potrebbe apparire come una semplice missione, si rivelerà per Deckard un viaggio complesso che tenta di rispondere – senza riuscirci del tutto – a un quesito universale: cosa significa essere umano?
2025. Blade Runner torna sul grande schermo, confermandosi come un’opera senza tempo e uno dei massimi capolavori della storia del cinema.
Ci troviamo proprio nel momento storico in cui quella domanda necessita di una risposta. La paura che “i replicanti” possano un giorno diventare parte della nostra quotidianità non è più solo fantascienza, ma una possibilità sempre più concreta.
Come capiamo se un video che troviamo sui social è stato generato dall’AI? Come facciamo a capire se un qualsiasi testo – potenzialmente anche questo – è stato scritto da ChatGPT?
Come Deckard, siamo immersi in un’epoca in cui è lecito, se non quasi obbligatorio, domandarci se ciò con cui interagiamo sia umano o artificiale.
Se fino a qualche anno fa Blade Runner ci affascinava come un’ipotetica distopia, oggi quella stessa emozione si trasforma in un’amara consapevolezza. Ci genera dubbi, ci inquieta, ci costringe a confrontarci con un futuro che appare sempre più prossimo.
Forse le Intelligenze Artificiali non sono altro che l’inizio di quello che ha messo in scena Ridley Scott. Oppure, alla fine, Blade Runner è solo una bella storia.
Una cosa è certa: entrare in sala oggi, prendersi del tempo per rivedere, o scoprire per la prima volta, quella Los Angeles cupa e piovosa, può davvero farci riflettere su cosa vogliamo mantenere della nostra umanità.
Ci stiamo anestetizzando davanti a piccoli schermi, a video scrollati senza attenzione. Ci sembra di non avere mai tempo: fingiamo di non provare emozioni, ignoriamo la nostra stessa stanchezza. Eppure, siamo noi a dover decidere di fermarci per ascoltare il nostro corpo e, con esso, le sue sensazioni, le sue emozioni. Ci preoccupiamo che Roy Batty (Rutger Hauer) – uno dei replicanti che Deckard deve cacciare nel film – possa davvero esistere nel nostro presente e, nel farlo, dimentichiamo di interrogarci su cosa ci rende davvero umani.
Dobbiamo imparare a usare le nuove tecnologie come strumenti. Ma per riuscirci, dobbiamo essere noi stessi a diventare, o ricordarci di essere, “più umani dell’umano”, e non viceversa.
Forse non sono le Intelligenze Artificiali i replicanti del nostro futuro. Forse lo siamo noi. Forse lo siamo già.
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