Any Other Way: The Jackie Shane Story di Michael Mabbott e Lucah Rosenberg-Lee

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«Mi sono sembrata così innocente, ma io non sono innocente!». Queste le parole di Jackie Shane, pioneristica cantante transgender e figura di spicco nella scena musicale di Toronto degli anni ‘60, nel rivedere alcune sue esibizioni. A quell’epoca – nonostante le numerose aggressioni e i rapimenti subiti – Jackie è innocente dal punto di vista giuridico, ma non sul piano morale. In un momento in cui per una persona di colore non è infatti concepibile essere al primo posto nelle classifiche musicali, così come risulta impensabile che un uomo si presenti truccato a un programma televisivo, sfondare come cantante trans e di colore non è certo una facile impresa. Eppure, Jackie ce l’ha fatta, senza aiuti dall’esterno – “Non ho mai chiesto nulla ai miei genitori”, dirà a un certo punto: a quindici anni era una delle batteriste più famose di Nashville, a sedici si è unita al circo e poco più tardi è divenuta una delle protagoniste della scena musicale soul canadese e americana.
Ma perchè Jackie non si considera innocente? Forse per la sua vita folle e smisurata, almeno agli inizi. O forse perché ha avuto il coraggio di dire ciò che nessuno aveva mai osato pronunciare. «Tell her that I’m happy, tell her that I’m gay». Questi i versi della hit musicale Any Other Way che hanno permesso a molti di sentirsi rappresentati, e al tempo stesso politicamente tutelati, dal duplice signifcato di “gay” – omosessuale e felice. Da qui nasce Any Other Way: The Jackie Shane Story, documentario di Michael Mabbott e Lucah Rosenberg-Lee, il quale attraversa tematiche quali resistenza, autodeterminazione e identità con grande abilità stilistica. L’opera è infatti costruita attraverso l’utilizzo di numerosi elementi distinti: materiale d’archivio, interviste, telefonate – tra la stessa Jackie e i registi, avvenute poco prima della morte dell’artista, permettendo così allo spettatore di ascoltare una testimonianza diretta di chi quelle dichiarazioni le ha vissute in prima persona. A rafforzare il senso di realtà contrubuiscono poi le animazioni rotoscopiche: il materiale filmato della musicista statunitense scarseggia, così i registi hanno scelto di sovrapporre foto e video della cantante a immagini della drag performer transgender Makayla Couture, presente nel film. Grazie a questa tecnica si ha la possibilità di osservare e ammirare non solo le espressioni del viso e le posizioni adottate da Jackie durante le telefonate (o, almeno, come i registi l’hanno immaginata – sempre elegante, truccata e seduta su una comoda poltrona), ma anche i dirompenti live, in cui Shane si distingue per energia e carisma, così come rinomati locali di Toronto che ad oggi non esistono più.
Nel complesso, Any Other Way: The Jackie Shane Story si distingue, e funziona, sia per le scelte stilistiche adottate, sia per la decisione di raccontare la vita di Jackie nella sua interezza – l’ascesa, la fama, la scomparsa improvvisa e la rinascita -, mantenendo al contempo un forte aggancio con il presente: i registi mostrano infatti il recente viaggio della famiglia della cantante alla ricerca dell’eredità di una parente mai conosciuta, raccontando la commozione dei parenti e il desiderio di preservare un’identità tanto straordinaria. L’opera si rivela così il frutto di grande dedizione e di una ricerca non banale, oltre che a un’opportunità per riportare alla luce un’anima ribelle, simbolo di indipendenza, emancipazione e libertà.
Il programma completo del SYS ELEVEN è disponibile qui.
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