A Real Pain di Jesse Eisenberg

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Un viaggio modesto di due (im)probabili cugini. Uno rappresentate del noioso mondo adulto; l’altro un eterno Peter Pan, egocentrico, affetto da diarrea verbale e con un suicidio fallito alle spalle. Questo è A real Pain (2024), scritto e diretto da Jesse Eisenberg. Ma di davvero doloroso troverete solo le battute scontate.
Da un lato David Kaplan (Jesse Eisenberg, ancora rilegato al ruolo di nerd-disadattato-Zuckerberg), la figura razionale, apparentemente ben realizzata, ma con evidenti difficoltà nel relazionarsi con persone ed emozioni. Dall’altro, Benji Kaplan (Kieran Culkin, incastrato nel ruolo del figlio problematico, complesso e inquietante con cui è cresciuto a livello attoriale e di fama con Succession), il poeta inquieto, sorprendentemente socievole, con un atteggiamento che riesce, quasi miracolosamente, a conquistare anche il turista più annoiato. I due cugini partono per la Polonia alla ricerca delle radici della loro famiglia, legati dal lutto della nonna tanto amato da Benji, molto meno da David. Una volta arrivati, si troveranno a condividere il viaggio con un gruppo di “viaggiatori della memoria” e la loro guida James (Will Sharpe).
A Real Pain è una vacanza familiare alla quale non siamo invitati. A scandire il viaggio sono gli stati d’animo dei due protagonisti che, oscillando tra l’imprevedibile e il rancoroso, offriranno allo spettatore qualche raro momento di risata dolce-amara e molti sospiri. I due cugini sono diversi, lo capiamo subito. Sono però stati molto uniti, e anche questo è immediatamente percepibile. La dinamica costruita su di loro rievoca indubitabilmente quella di Parto col folle (Philips, 2010), ma in versione maggiormente family-friendly, con colori pastello e meno parolacce. Emerge anche l’inflazionata poetica delle due facce della stessa medaglia, in cui uno dei due dovrebbe aiutare l’altro a crescere. Opposti ma indissolubilmente uniti. Ciò che appare sfocato, però, risulta essere proprio l’immagine che Jesse Eisenberg tenta di dipingere in un film americano sugli ebrei scappati dalla guerra in Europa. Sono questi due giovani, apparentemente incapaci di affrontare le difficoltà della vita, il reale riflesso dei nonni che, nonostante le atrocità del conflitto, riuscirono a ricostruirsi una vita dalle macerie della guerra?
La cornice che Eisenberg crea in A Real Pain è una Polonia patinata, un’Europa dell’Est quasi artificiale, impacchettata, dolcemente confezionata, con stili architettonici ex-sovietici, un profumo di alberi in fiore e case dai colori caldi, tra il giallo e il rosso. Una visione edulcorata, a dir poco, nonostante la fotografia di Michat Dymek, promettente direttore della fotografia, già ammirato in The Girl with the Needle (von Horn, 2024), che riesce quantomeno nell’intento di restituirci con autorità e rigore gli scenari di Varsavia e dei campi di concentramento nei dintorni di Lublino. Appare poco realistica anche la sceneggiatura – eppure candidata ai prossimi, e vicinissimi, Academy Award: i cugini Kaplan sembrano infatti esprimersi solo attraverso frasi fatte e stereotipate, nonostante il loro viaggio abbia uno scopo decisamente profondo, legato al passato condiviso. La volontà di Eisenberg di evitare il classico racconto sugli ebrei di terza generazione in viaggio verso le loro radici è evidente, ma i due personaggi, opposti, non fanno altro che allontanarsi l’uno dall’altro, anziché supportarsi. E l’impiego di Kieran Culkin – anch’egli candidato agli Oscar come miglior attore non protagonista – risulta essere un tentativo mal riuscito di introdurre un elemento comico in un’opera di ispirazione “alleniana”.
Eisenberg, però, non è Woody Allen. La pellicola del giovane regista non riesce nel suo intento di raccontarci l’Europa e la famiglia attraverso gli occhi di una giovane generazione. Il filtro che permea tutto il film è quello del cinema indie americano, un genere che, forse più di ogni altro, sta subendo i contraccolpi di un pubblico sempre più attratto dalla vita reale e dalla realtà oltre l’immaginazione, piuttosto che dalla finzione hollywoodiana. In questo senso, A Real Pain sembra non riuscire a rimanere ancorato a una narrazione autentica, risultando dunque distante e poco credibile fin dal suo approccio.
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