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Strade perdute

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In un numero intitolato Alieno, che nel suo spazio, non cosmico, ma monografico, dedica alcune pagine all’interprete che più di chiunque altro ha saputo incarnare, interrogare, problematizzare il significato stesso del termine, risulta necessario comprendere la coerenza e continuità dell’artista Tilda Swinton nella sua totalità.

Anzitutto, l’attrice britannica non ha mai vacillato nella sua fede in un cinema sperimentale e non narrativo, inteso dunque come autentico spazio sociale e comunicativo, un’arte votata alla creazione di luoghi in cui si ha la possibilità di generare risposte disomogenee, capaci di plasmare un’identità flessibile – un lusso, in una società devota all’omologazione. Seguendo precipuamente questa ispirazione artistica, Tilda Swinton è divenuta emblema di un modus operandi attoriale che le permette sia di orientare le traiettorie della propria carriera, sia di imprimere una marca distintiva sul testo filmico – L’uomo di Londra (Tarr, 2007), Snowpiercer (Bong, 2013), Memoria (Weerasethakul, 2021).

Sono poi innumerevoli le occasioni in cui il suo muoversi lungo lo spettro recitativo si accompagna a una moltiplicazione di ruoli all’interno del medesimo film, come accade in Ave, Cesare! (Coen Bros, 2016), in Suspiria (Guadagnino, 2018) e, ancora, in The Eternal Daughter (Hogg, 2022).

Il luogo di massima culminazione del sentimento amoroso verso la propria arte risiede però in quelle reiterate collaborazioni con artisti poliedrici che hanno contribuito a plasmare una carriera sorprendentemente eterogenea, inesorabilmente ultraterrena. A partire dal rapporto quasi simbiotico con Derek Jarman – Caravaggio (1986), The Last of England (1987), Blue (1994) -, passando da uno dei più grandi registi del cinema indipendente statunitense del XXI secolo in Jim Jarmusch – Solo gli amanti sopravvivono (2013), I morti non muoiono (2019) -, fino ad arrivare al cinema geometrico e dai colori pastello di Wes Anderson – Grand Budapest Hotel (2014), The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun (2021).

Ennesima testimonianza della sua alterità, nonché necessità di uscire dai confini del mondo cinematografico tradizionale, sono infine le numerose collaborazioni come narratrice di opere filmiche e d’arte visuale estreme e sperimentali, da Phantom of the Universe (Pequenao, 2016) al dittico diretto da Barry Gene Murphy e May Abdalla, Goliath: Playing with Reality (2021) e Impulse: Playing with Reality (2024

Sviscerando e ripercorrendo il Tilda Swinton Cinematic Universe appare tutt’altro che casuale l’inserimento di Friendship’s Death (Wollen, 1987) nella selezione dell’ultimo Festival di Berlino, dove l’attrice ha ricevuto l’Orso d’oro onorario alla carriera e nel discorso di ringraziamento ha ribadito l’urgenza di un cinema che sappia farsi veicolo di connessione sociale ed espansione comunicativa, e che trovi nel coraggio della complessità la propria ragion d’essere, risostenendo, ancora una volta, come l’arte tutta debba essere strumento necessario per rispondere, con bellezza e sovversione, alle scissure di un mondo in perenne mutamento.

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Pubblicato il:

20 Marzo 2025

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