The Toxic Avenger di Macon Blair

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Fin dalle sue premesse realizzative, era evidente che The Toxic Avenger (2023) di Macon Blair si fondasse su un paradosso strutturale, l’ambizione di sistematizzare il caos creato dal duo Lloyd Kaufman-Michael Herz. Affrontare il personaggio del Vendicatore Tossico attraverso una produzione ad alto budget, infatti, significa tentare di far conciliare due universi antitetici: l’anarchia produttiva dello studio cinematografico indipendente Troma e la logica strutturata dei film hollywoodiani.
Nato sulla scia del filone eco-horror affermatosi negli anni ’70 e ‘80 a causa dei timori sul riscaldamento globale e sull’inquinamento, The Toxic Avenger (1984) era un atto deliberato di guerriglia estetica, tecnica e narrativa: un concentrato di bile sovversiva anti-reaganiana, ricco di gore artigianale e animato dal rifiuto del buon gusto perbenista. Sul piano puramente tematico, trasporre tale eredità critica nel contemporaneo significa, prima di tutto, aggiornarne i bersagli.
Il remake assolve questo compito conservando la ribellione contro la società di un protagonista vessato – un umile inserviente trasformato in giustiziere dai rifiuti tossici – ma ne attualizza il contesto antagonista: l’obiettivo polemico si sposta dai bulli e dalla corruzione municipale, per concentrarsi sull’élite corporativa che sacrifica la salute pubblica e l’ecosistema sull’altare del profitto.
A questa attualizzazione si affianca un salto qualitativo a livello tecnico. Rispetto all’originale, il film possiede una struttura narrativa più coesa, uno sviluppo dei personaggi più definito e interpretazioni notevoli da parte di attori rinomati, tra cui spiccano Peter Dinklage, Kevin Bacon ed Elijah Wood. Tuttavia, è proprio in questa perizia formale che risiede il difetto dell’operazione: il remake soffre la contraddizione di voler replicare l’estetica ultra-low budget dell’originale nonostante l’utilizzo di risorse considerevoli. Una regia e una fotografia professionali, unite alla direzione di un cast stellare, impongono una pianificazione rigorosa e il rispetto di determinati limiti commerciali nella messa in scena; ne risulta una produzione troppo edulcorata e prevedibile, in cui ogni momento imbarazzante è deliberato e ogni elemento offensivo è attentamente calibrato.
Nonostante una campagna marketing che prometteva un’esperienza provocatoria al pari del suo progenitore, il nuovo The Toxic Avenger rivela un netto slittamento di registro. Se l’originale è assimilabile a un punk-rock suonato male in una saletta di fortuna, il remake si configura come un pop-punk levigato, prodotto in studio e piegato alle esigenze di mercato. La sua ironia non è più sovversiva, bensì accomodante, impiegando dinamiche narrative ormai standardizzate che ricordano Deadpool (2016) e The Boys (2019-). In questo contesto, il Vendicatore Tossico smarrisce la sua carica autenticamente mostruosa per rientrare nei canoni dell’antieroe mainstream.
Questa normalizzazione è palese sul piano visivo, con l’estetica dell’eccesso, elemento cardine della mondo Troma, che viene deprivata della sua dimensione viscerale. Laddove l’originale esibisce il grottesco e il materico per generare una repulsione tangibile, le sequenze splatter del remake, seppur iperboliche, sono compromesse da un’asettica patina digitale. Le problematiche, tuttavia, non si limitano al massiccio utilizzo della CGI; prive di crudezza, ma soprattutto di inventiva, le scene di violenza divengono rapidamente ripetitive e, paradossalmente, innocue. Al contrario, quelle del 1984 generano ancora oggi un senso di minaccia e imprevedibilità: armi puntate contro neonati, bambini travolti da macchine in corsa, mani fritte nell’olio bollente e volti sfigurati con frullatori.
In conclusione, l’opera di Macon Blair è un prodotto di intrattenimento leggero, che funziona per chi è alla ricerca di novanta minuti di brutalità cartoonesca senza pretese. Nonostante la presenza come produttori dei suoi due creatori, il film assume una posa ribelle, ma non trova mai il coraggio di essere sgradevole fino in fondo, posizionandosi in una terra di nessuno: troppo esplicito per una distribuzione mainstream, troppo controllato per un riconoscimento nell’underground.
Il nuovo The Toxic Avenger rimane un lungometraggio discreto, con una confezione rifinita e accattivante che tradisce la sua anima corrosiva diluita, degenerando in un prodotto addomesticato per il consumo di massa che ha perso ogni capacità di contaminare e sovvertire.
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