Scritto da

Vittoria Bracco

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La vita è colpa dell’arte. A questa massima si ispira il lavoro di Francesca Lolli, regista italiana che si occupa di videoarte e film sperimentali. Attraverso il corpo e il video, l’artista mette in discussione le contraddizioni della nostra epoca con uno sguardo audace e ribelle. Le sue opere, presentate al festival nazionali e internazionali, trasmettono emozioni intense e stimolano riflessioni profonde sul presente. In questa intervista ripercorriamo la sua carriera, dai primi esperimenti alle collaborazioni con importanti registi, passando per impattanti mostre fotografiche e originali cortometraggi. Inoltre, non manca un’esplorazione del processo creativo, delle scelte musicali e il racconto di quella che Francesca definisce «l’esperienza più bella della mia vita».

In Nostra Signora del Silenzio, Orgia e piccole agonie quotidiane e in altre tue opere hai lavorato molto con il silenzio. Quanto è importante questo elemento nel tuo lavoro?

Il silenzio è parte integrante del mio lavoro. Durante la realizzazione delle mie opere mi concentro molto sulla componente fisica e a mio parere la parola blocca l’azione: richiede un intervento del cervello, e quando si inizia a pensare non ci si muove. Inoltre, se la parola ti conduce preventivamente verso una direzione, ti dà un’indicazione chiara, precisa, all’interno del silenzio sono molti i mondi da esplorare. David Lynch diceva che sarebbe bellissimo poter tenere un nero molto lungo prima di una proiezione, di modo che le persone si abituino al silenzio e riescano a staccare realmente dal “prima”. Sarebbe un sogno per me poter creare tutto questo.



Nel 2021 apre al pubblico il progetto espositivo Come tu mi vuoi, proposta in cui svisceri numerosi stereotipi di genere. Per crearla hai preso ispirazione da narrazioni specifiche o ti sei semplicemente basata sulla tua esperienza personale di donna? Mi hanno poi colpito molto le fotografie “in attesa del giorno”, dove hai scritto in fronte “in scadenza”. C’è un messaggio specifico che intendevi trasmettere?

In Come tu mi vuoi faccio riferimento a frasi che noi donne ci sentiamo dire da tutta la vita. Da “se continui così resterai da sola” a “quando fai un figlio?”, o ancora “e fattela una risata, no?”. Stereotipi che ho sentito e sento tuttora su di me, ma che non fanno più ridere. Da qui le foto, nate come esperimento verso la fine della pandemia. Ho iniziato a travestirmi e a truccarmi per gioco, cosa che mi piace molto fare, e da qui è nato tutto. Riguardo la fotografia che hai nominato, ho scelto di chiamarla “in attesa del giorno” e scrivermi in fronte “in scadenza” perché nell’immaginario comune l’uomo può invecchiare e rimanere figo, affascinante, mentre per una donna vecchia non c’è più molto da fare. Vi è poi la fotografia della guerriera, che tratta di tutta quella narrazione decorata secondo cui la donna deve combattere. Ecco, è dietro narrazioni all’apparenza leggere come queste che si nascondono le verità più fastidiose a livello sociale. All’inizio uno ride, poi pensa cazzo, in effetti è vero. Non c’è tanto da ridere.



In Nostra Signora del Silenzio, Tre donne, di Sylvia Plath e in altre tue opere hai lavorato molto con i suoni animali e vegetali, ma talvolta anche con melodie prodotte da strumenti musicali. Come avviene il processo di scelta delle colonne sonore nelle tue opere? 

Dove senti melodia nel senso proprio di musica, di colonna sonora, è Bruno. Io sento più mio e sento anche più vivo l’utilizzo di un audio formato da suoni, a volte certo anche simil melodie, ma fondamentalmente rumori, suoni casuali e non didascalici, ovvero che non rappresentano a livello uditivo ciò che stiamo guardando con gli occhi. Ad esempio, se in una scena viene tirato un pugno a un muro io non uso il suono del pugno umano sul muro ma magari il suono di una pallina da tennis che colpisce la racchetta. Così facendo decontestualizzo l’immagine, e non lo faccio per un esercizio di stile ma perché sento che quel suono può portare  lo spettatore dove io desidero portarlo. Sono io a occuparmi del sound design delle mie opere, il quale mi prende più di metà del lavoro. Ho una banca suoni molto grande ma amo registrare cose nuove. 



Il pianto degli eroi, il tuo ultimo film nonché terza co-regia con Bigoni, è stato girato nel carcere di Bollate. Mi racconti questa esperienza?

L’umanità che c’è lì dentro è incredibile. Ho lavorato con persone che si sono lasciate andare completamente ed è stata un’esperienza meravigliosa. Mi ha poi colpito un dibattito a seguito di una proiezione del film: alcuni dei ragazzi del carcere hanno preso i permessi per venire e il dibattito è durato più del film. Per me questo è arte: l’arte è politica non nel senso partitico del termine quanto nel senso di polis, comunità. Ogni gesto che facciamo è politico, il nostro corpo è politico e l’arte è un’emanazione di questo. Se l’arte deve essere solo bella da vedere, un orpello estetico che rende la mia casa più carina, allora non mi interessa. La funzione principale dell’arte è quella di raccontare qualcosa della nostra società, di noi, del tempo che stiamo vivendo.



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Pubblicato il:

23 Marzo 2025

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