MaXXXine di Ti West
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“I will not accept a life I do not deserve”: in una sola frase la potenza narrativa del personaggio di Mia Goth nell’ultimo film di Ti West Maxxxine (2024), in chiusura della trilogia cult contemporanea iniziata con X- A Sexy Horror Story (2022) e il prequel Pearl (2022). A distanza di cinque anni dagli eventi del primo film, vediamo la pornoattrice Maxine Minx all’apice della sua carriera nelle pellicole X-rated, intenzionata ormai a diventare una stella del cinema e a compiere il passaggio alla costellazione hollywoodiana attraverso il genere horror di serie B. In una Los Angeles pop ricca di spirito reaganiano, pervasa dall’ inquietante “satan panic” e dal terrore per gli omicidi del famigerato Night Stalker, dovrà quindi gestire le sue ansie e incanalare le sue forze nella via verso il successo, affrontando intanto un’oscura figura che sembra perseguirla con intenti omicidi.Durante la visione di questa pellicola, un primo elemento di stupore e interesse si individua sicuramente nella stilosissima ambientazione. Ti West è riuscito a riprodurre, con perfezione e una buona dose di nostalgia, il gusto “camp” degli anni ‘80 fuso con le componenti classiche dell’horror moderno: allo sfarzo dei vestiti, all’energia stravagante del synth-pop e hard rock e ai colori saturi di costumi appariscenti, trucchi caricati e pettinature eccessive si contrappongono atmosfere cupe, inseguimenti e agguati violenti che terminano con fiumi di sangue e momenti di ansia psicologica incessantemente partecipi alla tensione narrativa del film. Tutto ciò, insieme all’utilizzo dei set reali e alla descrizione delle dinamiche produttivo-lavorative al loro interno, contribuisce alla realizzazione di un mondo cinematografico ricco di vita e personalità, riconducibile a un percorso riflessivo e creativo del regista più profondo del mero manierismo ispirato da una personale cultura cinefila (entrambi elementi comunque presenti nel film). Notando infatti l’insistenza nei confronti della figura del regista di cinema di genere caricata di idealità, insieme alla rappresentazione scenografico-ambientale di quello che può essere definito un “sottobosco hollywoodiano” popolato da figure dello spettacolo sinistre, ambigue o semplicemente più impure e sporche, si può forse riscontrare un parallelo con l’intenzione critica sottostante l’opera tarantiniana C’era una volta a Hollywood: dimostrare come lo spirito pomposo e pulito della Los Angeles di serie A venga sotterraneamente alimentato dalla sua vera anima cinematografica, ovvero i settori porno e horror di bassa produzione dai quali dipendono le sorti del mercato filmico e attraverso cui nascono i registi e gli attori del futuro.
Tra di essi si proietta la ormai adulta Maxine, altro fondamentale perno di interesse della pellicola. La performance di Mia Goth, già sorprendente nei capitoli precedenti della saga, regala qui il suo punto di massima riuscita a livello di caratterizzazione del personaggio. Se già si assisteva precedentemente alla storia di una ragazza che attivamente aumenta le proprie probabilità di salvezza lottando contro una coppia di carnefici del Texas, si riscontra adesso un incremento di agency sbalorditiva, riscontrabile nell’approccio deciso, ambizioso e a momenti perfino ossessivo della protagonista. Dai traumi di un passato lasciato alle spalle e di un’esperienza horror in stile slasher a cui si è sopravvissuti con diverse difficoltà emerge quindi una final girl totalmente anticonvenzionale, in grado di prendere in mano la propria vita e modellarla per raggiungere un unico obiettivo: costruire una nuova personalità vincente orientata al successo nel firmamento hollywoodiano, a costo di annientare chiunque possa ostacolare questo suo personale destino manifesto e divenire infine uno dei mostri da cui è sempre fuggita. In conclusione l’ultima fatica di Ti West, pur non esente da difetti rintracciabili in una ricorrenza inflazionata di riferimenti cinematografici forse troppo autocompiaciuti e in qualche ingenuità narrativa evidente nella prevedibilità degli eventi, riesce a chiudere un racconto di enpowering femminile attraverso un uso sapiente delle regole dei generi a disposizione e un’icona della cinematografia horror contemporanea, resa viva, come la femme fatale per antonomasia Bette Davis, da un mantra che riassume il suo percorso di trasformazione e presa di forza: “In this business, until you’re known as a monster, you’re not a star.”
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