Strade perdute (1997) di David Lynch, con la sua complessità stordente, è recentemente ricomparso in versione restaurata. La geniale opera si ripropone al nostro sguardo come per confermare la centralità del linguaggio nell’arte che contiene le altre. Si proietta, il citato film, in una dimensione di assolutezza espressiva, riaffermando il discorso critico sulla realtà come unica possibile verità. Da qui, da questo più o meno inconscio atto di resistenza del pensiero umano, nasce l’idea di creare una rivista di cinema per concezione e prassi simile ad altre ma in fondo diversa da tutte. Il gruppo che ha formato questa redazione ha constatato l’esigenza di interrogarsi sul caos della produzione audiovisiva odierna per capire, nel flusso, cosa passa e cosa resta. A tale scopo si è voluto uno spazio non solo virtuale in cui poter porre domande e ipotizzare risposte, analizzando i contenuti che l’ipertrofico mercato ci propina ma anche raccontando quelle belle realtà troppo piccole perché il mondo della comunicazione digitale riesca a valorizzarle. Strade Perdute Magazine nasce da un corso teorico e pratico di CineLAB mirato alla formazione di una struttura permanente per la critica cinematografica. L’intento principale del percorso era infatti quello di mettere insieme giovani aspiranti professionisti e professioniste per dare loro una palestra dove mettersi alla prova e a voi l’occasione di dialogare con punti di vista al tempo stesso freschi e autorevoli sul mondo dei film.
Perché una nuova rivista di cinema? Perché, nonostante si dica da tempo che sta morendo, il cinema è ancora fra noi e sembra mostrare in particolare in Italia una curiosa vitalità. Nel nostro Paese e non solo si produce tantissimo audiovisivo e, a differenza di quanto si sia creduto durante la pandemia, si produce tantissimo nel formato del lungometraggio tradizionale sia esso animato, documentaristico o di finzione. Il progetto nasce in una città, Torino, dove il cinema accade senza sosta, un ideale luogo di incontro per coloro che si riconoscono nella grande famiglia cinefila ma difficilmente riescono a tenere il passo di una così grande mole (non a caso) di oggetti filmici. Ecco che giungiamo a raccogliere metaforicamente i bimbi sperduti di quest’Isolachenoncè con l’intento di rincuorarli e accompagnarli nei luoghi e fra le persone che questi sogni li realizzano. Chiarire gli obiettivi di una missione come questa significa quasi banalizzare la vocazione. A parlare saranno i risultati stessi. Ciò che conta è poter guidare sotto la luce di una stessa torcia le molte voci di un dibattito vivace ma disperso per fare sì che si creino sempre più occasioni di progresso. Insieme sarà possibile trovare rinnovate forme di dialogo per stimolare tavole rotonde ormai urgenti. Chi scrive ha dato il là a tutto questo ma non ne sarà il motore perché una nuova generazione di criticə ha qui fatto squadra e seguendo le invisibili linee tratteggiate ci indicherà la perduta via.
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