Civil War di Alex Garland

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Civil War di Alex Garland

«Non mi sono mai sentita così spaventata prima, e non mi sono mai sentita così viva». Queste le parole ambigue e incoerenti che riecheggiano nella mente dello spettatore mentre osserva un van percorrere un’autostrada in una foresta divorata dalle fiamme di un vivo incendio. Dentro al veicolo, in un’esperienza sospensiva a contatto con la natura nel momento della sua più teatrale distruzione, i passeggeri osservano lo spettacolo pirotecnico di braci e luci, mostrando sguardi che oscillano da un debole stupore, misto a terrore, a una più accentuata freddezza chirurgica. Civil  War, il nuovo film di Alex Garland, deciso a stupire, inquietare e interrogare lo spettatore, approccia il war movie con originalità, sovvertendo le aspettative del pubblico. Nel rappresentare una distopica guerra civile negli Stati Uniti d’America tra la fazione lealista del Presidente e quella secessionista WF, il regista inglese, invece di delineare le ragioni della guerra, il suo background e l’articolazione delle dinamiche tra le diverse parti in gioco, sceglie invece di concentrarsi sulla cruda violenza del conflitto, mostrandone la chiara confusione e l’ingenua brutalità di chiunque vi partecipi. E come viene ben mostrato nell’intensa sequenza dello stallo tra cecchini, non esistono buoni o cattivi, e nemmeno dei confini definiti tra gli eserciti; ciò che rimane sono soltanto uomini intenti a spararsi ciecamente a vicenda per uccidersi.

Ad accentuare questa provocatoria messa in scena vi sono i personaggi principali, quattro reporter intenti a raggiungere la capitale per intervistare il Presidente prima della sua esecuzione. Prendendo le distanze da una classica ed eroica rappresentazione del giornalista di inchiesta, come poteva accadere in Under fire (1983), Garland preferisce assumere uno sguardo più realista, esemplificato dall’evoluzione delle due protagoniste in un chiasmo di opposti della stessa medaglia con l’effigie dell’indifferenza: da un lato, la celebre fotografa di guerra Lee (Kirsten Dunst), che da fredda spettatrice di scenari violenti mostra segni di solidarietà e sincera umanità, mettendo a repentaglio la propria professionalità e sicurezza; dall’altro, la giovane aspirante reporter Jessie (Cailee Spaeny), ragazza in balia delle emozioni e dei dubbi morali che col tempo impara ad assumere un glaciale sguardo di distacco verso la realtà della guerra. Un film intriso di pessimismo dunque, atto a denunciare non soltanto gli atti criminali degli attori del conflitto, ma anche coloro che, dichiarandosi neutrali rispetto a esso, lo alimentano con il loro osservare e ne diventano complici, smarrendo la loro umanità. Questo l’autentico significato del dialogo centrale del film: Jessie, scossa dal continuo scenario di morte che la circonda, domanda se Lee sarebbe disposta a fotografarla nel caso in cui rimanesse uccisa durante il conflitto, e Lee, quasi chiamando in causa l’occhio dello spettatore che si identifica con il suo vigile sguardo, risponde in tono asettico: «Tu cosa credi?».

di Marko.

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Pubblicato il:

4 Luglio 2024

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