Vita privata di Rebecca Zlotowski

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Vita privata di Rebecca Zlotowski

In Vita Privata di Rebecca Zlotowski (2025) il dramma si consuma sullo sfondo di una Parigi autunnale: la tragica morte di Paula (Virginie Efira), una delle pazienti più affezionate della psichiatra statunitense Lilian Steiner (Jodie Foster), scuote la vita della protagonista. Ancora incredula di fronte all’ipotesi del suicidio e sospettosa nei confronti della famiglia della vittima, la dottoressa avvia un’indagine personale per scoprirne la reale causa del decesso. Una reazione psicosomatica al lutto – una lacrimazione incessante – la spinge ad affidarsi, seppur scettica, a un ipnotista. La terapia costringe Lilian ad affrontare desideri oscuri e passioni mai coltivate che la bloccano in un illusorio stato di controllo, impedendole di aiutare realmente i propri pazienti.

Realtà e subconscio si mescolano più volte, in particolar modo dopo aver appreso – grazie allo stato di trance – di essere stata l’amante di Paula in una vita precedente, risalente all’occupazione nazista della Francia negli anni Quaranta. Il susseguirsi degli eventi fa comprendere alla dottoressa il suo attaccamento emotivo al caso, ma la fa anche sprofondare in un vortice paranoico, alimentato da minacce e tentativi di furto. Spinta da un’ossessiva sete di giustizia, Lilian finisce per coinvolgere l’ex marito e il figlio nelle sue visioni apparentemente deliranti.

Rebecca Zlotowski attribuisce al titolo del film una duplice chiave di lettura. Se da un lato Vita Privata rimanda all’analisi della sfera intima della paziente per poterne comprendere la dipartita, dall’altro evoca il concetto di “privazione” e la rinuncia alla vita stessa, suggerendo così l’ipotesi del suicidio. Questa ambivalenza linguistica non è una semplice trovata a effetto, ma rivela il filo conduttore dell’intera opera: il concetto di dualità ricorre infatti sia nell’evocare la famosa metafora dei “due lupi” che convivono nell’animo umano, sia per alludere alle doppie vite dei protagonisti.

Sul piano visivo, la regista costruisce un forte simbolismo cromatico: il blu – che infonde calma e fiducia – si accosta al marrone, tonalità legata a sicurezza e comfort. L’utilizzo dei colori serve a definire ed enfatizzare l’importanza del ruolo della psichiatra, una figura di supporto su cui la protagonista stessa si interroga, mettendone in dubbio la validità terapeutica. Alla sua domanda smarrita «Io cosa curo?», fa eco una risposta dell’ex marito che ne eleva la missione: «Curi la loro anima».

Presentato fuori concorso al settantottesimo Festival di Cannes, Vita Privata valica i confini del thriller psicologico, configurandosi come un viaggio onirico di riscoperta interiore nella dimensione della reminiscenza. La narrazione è fluida e accattivante, impreziosita da una vena comica tipicamente francese che si palesa nell’autoironia di personaggi complessi, fragili e mossi da istinti e pulsioni quasi infantili.

La pellicola riconferma la camaleontica capacità espressiva di Jodie Foster, che torna sul grande schermo recitando quasi  interamente in lingua francese (fatta eccezione per qualche imprecazione e un breve discorso). Non mancano, tuttavia, suggestivi echi del suo passato: la tensione crescente delle sequenze notturne, in cui la protagonista si aggira armata per casa, richiama inevitabilmente l’iconica performance in Panic Room (David Fincher, 2002). Il finale, con una perfetta conclusione circolare, restituisce una Lilian trasformata: non più schiacciata dai dubbi, ma più consapevole, finalmente libera dalle proprie angosce e capace di ascoltare veramente i suoi pazienti.

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Pubblicato il:

17 Dicembre 2025

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