Il protagonista di Fabrizio Benvenuto

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Il protagonista di Fabrizio Benvenuto

Il protagonista, esordio cinematografico di Fabrizio Benvenuto, si candida ad essere uno dei film più interessanti della nuova edizione del TFF. Nel duplice ruolo di sceneggiatore e regista, Benvenuto introduce lo spettatore alla vita di Giancarlo Mangiapane (Pierluigi Gigante), un attore trentenne intrappolato in una spirale di provini falliti e ruoli mancati.

La pellicola esplora l’ossessione che spinge Giancarlo a incarnare i ruoli che gli vengono proposti, un’immedesimazione tanto profonda quanto distruttiva. Il protagonista, a costo di trascurare la propria vita reale, cerca di “abitare i personaggi” con l’intensità viscerale di chi ha vissuto quelle vicende in prima persona. Questa ricerca morbosa lo porta a confondere il confine tra finzione scenica e realtà personale: ogni provino, ogni insuccesso, diventa un’occasione per immergersi ancora più a fondo nella vita di qualcun altro, senza rendersi conto che le sofferenze interpretate si riflettono e influenzano concretamente la sua stessa esistenza, minandone salute mentale e affetti.

Nel vortice di follia in cui è intrappolato Giancarlo, lo spettatore viene guidato attraverso scelte registiche audaci e innovative. Benvenuto sfrutta appieno la macchina da presa, facendola diventare un personaggio a sé: guarda il protagonista dal citofono, interagisce con lui, velocizza la scena per ridicolizzarlo o per elidere passaggi narrativi superflui. In questo costante gioco meta-cinematografico, il protagonista è tale senza esserne pienamente consapevole: Giancarlo mette in scena un ultimo, disperato tentativo di conquistare il ruolo principale, se non nella vita, almeno nella finzione sullo schermo.

Il protagonista di Fabrizio Benvenuto 2

Il film è intessuto di numerosi riferimenti, sia letterari che cinematografici, che conferiscono alla pellicola un linguaggio espressivo stratificato e ricercato. Tra i personaggi spicca il clochard Tazio, un artista di strada che dipinge sotto un ponte di Roma, forse è l’unico vero “artista” in un mondo popolato da semplici interpreti. Tazio, che si rivela essere il primo autentico fan di Giancarlo, pronuncia la frase che può racchiudere il senso stesso del fare arte: è sufficiente che un’opera tocchi anche una sola persona perché acquisti valore, legittimando il suo autore come artista. L’ultima battuta di Tazio, un enigmatico «chissà che tempo fa a Itaca», lascia lo spettatore sospeso tra sogno e realtà, evocando un viaggio interiore mai compiuto.

L’introduzione dell’ombra, una figura che si prende gioco di Giancarlo, introduce invece un elemento quasi fiabesco; questo personaggio, un evidente richiamo a Peter Pan, definisce il rapporto tra Io e alter ego del protagonista, rappresentando tutto ciò che egli rifiuta di vedere e ascoltare. Il culmine emotivo è raggiunto dal monologo finale: un urlo angosciante che mescola richiesta di aiuto e frustrazione, l’espressione del desiderio irrefrenabile di appartenere a un mondo che lo respinge, ma che per lui rappresenta l’unica ragione d’essere.

Nonostante la potenza narrativa e la sua originalità stilistica, la pellicola mostra un punto debole nella rappresentazione dei personaggi femminili. Ancora una volta, queste figure sembrano essere relegate a ruoli secondari, prive di una personalità indipendente e di finalità proprie, utilizzate unicamente in funzione del protagonista e cristallizzate negli archetipi di Madri, Figlie e Amanti. In conclusione, l’esordio alla regia di Fabrizio Benvenuto è sicuramente un’opera destinata a far parlare di sé, segnalando un autore da tenere d’occhio per il prossimo futuro.

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Pubblicato il:

23 Novembre 2025

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