Milarepa di Louis Nero

Condividi su:

Milarepa di Luis Nero

Milarepa (2025), ultimo film del regista italiano Louis Nero, si presenta come una reinterpretazione della vita del leggendario yogi tibetano. Tuttavia, la storia dell’eroe sembra rimanere chiusa all’interno di una gabbia esteticamente sterile e narrativamnte sconnessa, che fatica a trasmettere il valore intimo del viaggio spirituale dei protagonisti e, al contempo, rende lo spettatore sempre più inerme e disinteressato davanti alla dimostrazione di protagonismo dell’autore.

Il film segue la vita della protagonista, Mila, giovane dalla spiccata intelligenza nata in una famiglia ricca (o così pare, nonostante l’ambiguità dell’ambientazione spazio-temporale, che si perde in fragili e incoerenti riferimenti poco traducibili). Segnata dalla prematura morte del padre e dalle violenze dei familiari, dopo anni di schiavitù viene spinta dalla madre a studiare la magia nera per vendicarsi delle ingiustizie subìte. Tuttavia, scopre che alle donne non è permesso imparare a leggere e avere accesso alla cultura, tradizione che la obbliga a tagliare i capelli e intraprendere il suo percorso in veste di uomo.

La facciata di Milarepa ci appare già come deludente: le scenografie immersive e le musiche orientaleggianti non riescono a bilanciare la fotografia poco curata e la scrittura insipida e per nulla efficace – elementi che appaiono scadenti anche ad un pubblico non addetto ai lavori. La narrazione appare spesso meccanica, schematica, come se i grandi eventi della vita di Mila fossero elencati più che raccontati, privandoli di qualsiasi contestualizzazione all’interno del suo cammino. Le cose accadono, e ce ne accorgiamo. Delle motivazioni dietro alla loro esistenza, però, rimaniamo spesso all’oscuro. Il confronto con l’omonimo predecessore del 2006, di cui il film di Louis Nero si propone come remake, aggiunge peso alla delusione generale: laddove l’originale riusciva quantomeno a trasmettere una certa autenticità spirituale e coerenza stilistica, questa nuova versione appare impoverita, priva di identità propria e incapace di rendere giustizia alla storia che si propone di raccontare.

È necessario specificare che la storia già sentita non rappresenterebbe una problematica grave, se non fosse per l’incapacità della pellicola di trasmettere una profondità dei personaggi che propone. Le sequenze che dovrebbero rivelare trasformazione interiore della protagonista risultano afflitte da una lentezza ingiustificata, non strumento di connessione emotiva con il pubblico, bensì materializzazione dell’egocentrismo estetico dell’autore. Mila è un personaggio piatto, bidimensionale – nonostante sia il più esplorato e caratterizzato del film – e, così come il suo, anche tutti gli altri. Le loro evoluzioni sono fredde, spesso ingiustificate, e sembrano avvenire solo perché la storia, in qualche modo, deve pur andare avanti. In questo contesto, la regia di Luis Nero rimane un esercizio di autocompiacimento a tratti stancante, perennemente impegnato a mostrare una qualche capacità manieristica che finisce inevitabilmente per trascurare il racconto – anche frutto, evidentemente, di una sceneggiatura incompleta e che presenta la struttura del groviera, bucata qua e là.

Le lunghe sequenze di paesaggi montani, da una parte evocano la solitudine spirituale di Mila, ma dall’altra risultano eccessivamente ripetitive e incapaci di amplificare l’intensità drammatica del film. La scelta di un’estetica che punta quasi ossessivamente sul simbolismo visivo rischia di far dimenticare che il cinema è anche movimento, dialogo, emozione. Qui, tutto appare congelato, come se le emozioni dovessero essere raccontate esclusivamente tramite il paesaggio e la fotografia, senza alcun supporto narrativo concreto.

Insomma, nonostante la prepotente componente visiva e l’ambizione di farsi manuale di interiorità religiosa, il risultato finale è una pellicola che non riesce a soddisfare nemmeno le aspettative basilari di un film considerabile per lo meno coinvolgente. Tutto ciò che ci viene offerto con Milarepa è una rappresentazione didascalica del percorso di vita dei protagonisti, basata su scene casuali chiaramente riferite alla tradizione dei film di kung-fu (totalmente incoerenti con il resto del racconto) e lunghissime sequenze montane senza particolari motivazioni narrative. Ciò che rimane, a visione conclusa, è l’amaro di un viaggio vuoto, insignificante, che si impone di spiegare le radici del “male” e del “bene” senza regalare riflessioni utili al pubblico.

Condividi su:

Pubblicato il:

29 Giugno 2025

Tag:

Consigliati per te