Mickey 17 di Bong Joon-ho

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Mickey 17 di Bong Joon-ho

Giunto con Mickey 17 (2025) all’ottavo lungometraggio della sua carriera, Bong Joon-ho conferma la sua naturale capacità di imbastire narrazioni sempre tese tra la commedia umana e la critica alla prevaricatrice società contemporanea; abilità che si accorda alla disinvoltura con la quale allestisce il profilmico: la scala sociale viene infatti esplicitata in ogni inquadratura e campo-controcampo. Mickey 17 (Robert Pattinson), “sacrificabile” – una cavia destinata a morire incessantemente nei più disparati esperimenti, per poi essere ristampata esattamente come prima – di un gruppo di umani colonizzatori interspaziali, occuperà sempre la parte bassa dello schermo, lasciando invece la porzione superiore a personaggi che lo sovrastano nella gerarchia sociale.

Primo fra tutti Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), autoelettosi presidente, dalla prossemica mussoliniana e dalla parlata trumpiana (l’ingombrante protesi orale non lascia adito a dubbi), di questa colonia intenta a impadronirsi del pianeta Niflheim, per poi ripopolarlo seguendo dei rigidi dettami eugenetici. Il presidente-sovrano-dittatore, insieme alla moglie Ylfa (Toni Collette), rappresenta quindi l’apice della piramide, mentre Mickey Barnes, ormai null’altro che carne da macello, ne incarna le fondamenta. Questa fin troppo definita gerarchia verrà però sconquassata dall’apparizione di Mickey 18 e degli alieni indigeni di Niflheim, i cosiddetti “striscianti”. Saranno proprio loro, salvando Mickey 17 da morte certa, a provocare la compresenza delle due iterazioni di Mickey, di cui l’ultima stampata prima dell’inaspettato ritorno del predecessore. La lotta intestina tra “poveri”, che la simultanea esistenza dei Mickey sembra scatenare, verrà dapprima sedata, e poi reindirizzata verso la testa della gerarchia da Nasha (Naomi Ackie), fidanzata di Mickey, che sfrutta la rabbia anarchica della nuova versione del suo amato, e l’ingenua bontà del diciassettesimo, per sferrare un deciso attacco al potere.

Sotterraneamente Bong Joon-ho architetta una sommossa parallela che travalica i confini diegetici. La nuova società verrà infatti capitanata da Nasha, una donna afroamericana, iper-muscolare (sulla scia dei classici action hero americani) e iper-sessuale (vedasi il desiderio di dominare, a là Challengers [2024, Luca Guadagnino], il ménage à trois con i Mickey). Un ribaltamento completo se consideriamo le caratteristiche della sua dolce metà, Mickey 17: incoraggiante, accomodante, affettuoso, sensibile, timido, accorto emotivamente nei confronti di Nasha e custode del loro “focolare”. Un ritratto che farebbe di lui una proverbiale “grande donna dietro a un grande uomo”, ma che, svuotato della profilazione di genere insita in questo luogo comune, non fa altro che tramutarlo in un uomo demascolinizzato. Se a ciò aggiungiamo il suo ruolo cruciale nell’instaurazione di un dialogo con gli “striscianti”, che riesce a scongiurare una guerra che sembrava ormai inevitabile, il capovolgimento si fa ancora più chiaro: Mickey diventa una versione grottescamente (e proprio nell’esposizione di questa percezione risiede l’intento di Bong) maschile della Nausicaä creata da Hayao Miyazaki – anche qui, tramite design degli “striscianti”, Bong non fa nulla per nascondere il riferimento. Se il maestro giapponese considerava il femmineo come ultimo baluardo nella salvezza della madre terra, e di conseguenza della specie umana, Bong, attribuendo questa “femminilità” a Mickey, ribalta i ruoli solo per accentuarne l’esito: la costruzione di una nuova società timonata dalle donne.

L’attenta stratificazione della coppia Mickey-Nasha sfortunatamente non viene replicata con altrettanta abilità negli altri, innumerevoli, personaggi del film, costituiti per lo più come caricature bizzarre e divertenti, ma ormai un po’ usurate. In particolare, i buffoneschi coniugi Marshall, nella loro insistita ridicolezza, diluiscono l’invettiva di Bong e rischiano di allontanare lo spettatore dal nucleo della sua opera che, in definitiva, ha il difetto di farsi sovrastare da una quantità di elementi e temi forse fin troppo soffocante. Riemerge quindi lo spettro di Okja (2017), unico parziale passo falso del regista sudcoreano, che condivide con la sua ultima opera l’ambizione di piegare la pratica produttiva hollywoodiana alla sua poetica. In questo matrimonio, fin qui dall’esito incerto, persiste però il dubbio che Bong si stia facendo tentare dalle (quasi) infinite risorse messe a disposizione da Hollywood, possibile causa diretta dell’incontrollata moltiplicazione, antinomica alla sua rinomata efficacia stilistica, che si manifesta in Mickey 17.

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Pubblicato il:

10 Marzo 2025

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