Confidenza di Daniele Luchetti
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Sul far della notte, tra i riflessi smorzati di un caffè torinese, Teresa Quadraro (Federica Rosellini) giunge a dare una definizione al rapporto che unisce lei a Pietro Vella (Elio Germano). Quest’ultimo dopo la fuga di Teresa fa ancora il docente, si è sposato con Nadia (Vittoria Puccini) e ha avuto una figlia, Emma (Sofia Luchetti e Pilar Fogliati). Continua ininterrottamente a professare la sua maieutica affettiva e, da quelle “cosucce” che ha elaborato, ci ha ricavato una carriera brillante, ma soprattutto un’identità sociale salda e rispettabile. Teresa ora vive oltreoceano, a Boston, è una scienziata acclamata a cui Panorama dedica ben quattro pagine di attualità, che per puro caso sono successive all’articolo sul professore del momento. Ma c’è un dettaglio, sussurrato, udibile solo a loro due, una confidenza terribile – o apparentemente tale – che vincola la loro esistenza a un «matrimonio etico». Teresa caratterizza la connessione con Pietro avvalendosi del vincolo matrimoniale, una conditio sine qua non per cui, se mai le confidenze scambiate anni prima venissero alla luce, i due tornerebbero tra le braccia l’uno dell’altra. Confidenza narra le storie di Teresa e Pietro (ma anche della sua attuale moglie, Nadia), adattate dall’omonimo libro di Domenico Starnone per lo schermo cinematografico. Il lavoro di quest’ultimo non è sconosciuto a Daniele Luchetti che, nuovamente, intreccia un dialogo con un autore letterario centrale nella sua carriera; i romanzi di Starnone sono stati la matrice di numerose sceneggiature di Luchetti, e nel caso di Confidenza, il regista rinnova il sodalizio creativo con Francesco Piccolo nella scrittura a quattro mani dell’adattamento.
I personaggi che emergono dalla penna di Starnone sono sempre distinti da un’identità prismatica, che attraverso la scrittura viene meticolosamente decostruita contribuendo a far comprendere la complessità della natura umana. In tal senso, la parola scritta adempie facilmente a questa funzione, poiché non reclude con presunzione lo spazio dedicato all’interpretazione dei lettori. Pietro Vella non fa eccezione, e Luchetti tenta di lavorare attraverso il medesimo processo di decostruzione identitaria, a partire da una confidenza che è unicamente un pretesto (così come è motivo apparente anche nel romanzo di Starnone). Nonostante ciò, l’ostacolo di Luchetti sorge nella riscrittura filmica del soggetto di partenza, in cui l’etica personale fabbricata da Pietro è messa in pericolo, scomposta da una pluralità di voci che, nel passaggio alla scrittura filmica, svaniscono. Un inconveniente che preclude gli sguardi interni alla narrazione a beneficio di come Pietro viene osservato. Il pretesto è inudibile, il racconto si appiattisce e la ricerca identitaria di Pietro resta inconcludente. L’impostazione visiva di Luchetti straborda eccessivamente in un rigore svenevole, caricata da una messa in scena presuntuosa, in cui i corpi dei suoi attori vengono ammaccati da uno sfondo carico di iconografie sacre e antiche, che insieme alla lunga lista di lirismi da “vecchio” noir e simbolismi superflui, vanno a circoscrivere una narrazione che si sfrangia. Su quella stessa Torino, di promesse per amore dell’etica identitaria altrui, Pietro Vella si ritrova sul tetto del suo hotel. Impaurito, disperato, stanco, tenta di urlare, ma esce solo fiato. L’urlo mancato di un’identità umana che ha perso la sua profondità, oppressa da uno sguardo troppo supponente, che tentava di ritrovare il proprio grido ma è precipitato nella sciagura di un film non riuscito.
di Antonio Congias.
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