100 litri di birra di Teemu Nikki

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Con una distribuzione limitata a poche sparute copie, 100 litri di birra è arrivato nelle sale con la visibilità minima necessaria a garantirsi un’uscita nazionale. Il film si presenta come un prodotto ruvido, sgraziato, poco interessato al coinvolgimento del pubblico, e difficilmente potrebbe esistere in un contesto diverso da questo. 100 litri di birra è la storia di due sorelle – almeno così ci viene svelato, per caso e a rate – che, come si può intuire dal titolo vagamente evocativo, sono alle prese con la birra. Non solo berla, anche farla. Il sathi finlandese, fermentato come i problemi di famiglia. Dopo i numerosi titoli di testa, il film parte in quarta, senza dare il tempo di ragionare, quasi come se noi stessi fossimo in hangover. Una delle due protagoniste, Pirrko (Elina Knihtilä) – la vera ed unica attrazione del film -, nel giro di due scene fa subito capire che tipo è. Però chi è Pirrko? Chi è l’altra donna che abita con lei? Come si chiamano? Queste domande troveranno risposta. Per caso, s’intende. La storia comincia così: con un sacco di domande. Ad ogni modo, a poco a poco e sempre casualmente, si comincia a ricostruire il passato, perché compare la terza sorella, Päivi (Ria Kataja). Da qui una richiesta di 100 litri di birra per il matrimonio col suo nuovo compagno e il diramarsi, delle volte in modo sbrigativo e altre inutilmente prolisse, di tutta la storia di Pirrko e Taina (Pirjo Lonka).
100 litri di birra prova a seguire il filone della commedia francese leggera (viene in mente Giù al Nord di Danny Boon, per toni e intento) e il tentativo di Teemu Nikki non si può dire propriamente riuscito. D’altronde, semplicemente aprendo la sua pagina di Wikipedia, scopriamo che «Il suo cinema è apertamente debitore di John Carpenter e dei film di serie B americani. Il suo genere d’elezione è la commedia». Le domande che pone il film, dunque, cominciano a trovare risposta. Capiamo anche perché uno dei momenti più alti, se non in assoluto il più alto, sia la scena di una deiezione dovuta al post-sbornia. E, per quanto possa risultare divertente, non è stata compensata da nulla di originale, solo provocazioni gratuite. D’altra parte, Teemu Nikki è «figlio di un allevatore di maiali di provincia, si avvicina alla regia da autodidatta». Ciò sembra giustificare la limitata inventiva di Nikki, ma al tempo stesso motiva il fatto di aver quantomeno rappresentato accuratamente quell’ambiente. È sicuramente autentico, così come lo sono i cliché dei “tipici finlandesi ubriaconi”. Sembra quasi di poter sentire l’alito di sathi che arriva dalle bocche di Pirrko e Taina; che porta tutti a emarginarle, ma comunque ad approfittare di loro.
Alcune testate italiane hanno accolto 100 litri di birra con una certa indulgenza. In un caso lo si considera «un film tenero, triste e brillante», lodandone l’umorismo nero e la malinconia finlandese. Altri lo definiscono una commedia grottesca con punte di realismo sociale, un piccolo esempio di cinema regionale in bilico tra il paradosso e il dramma. Sono pochi invece a evidenziare in maniera puntuale quanto la narrazione si trascini e la comicità fatichi a trovare un vero respiro. Il film è stato presentato come un successo al botteghino in patria, tutt’altro che sorprendentemente considerando come rispecchi un tipo di umorismo molto locale, quasi folkloristico, che può risultare spiazzante fuori dal contesto. Ma al di là della simpatia per i suoi personaggi o della ruvidezza ambientale, resta difficile non percepire una certa superficialità narrativa e una comicità meccanica, che raramente trova vero ritmo o cuore. Se per le due sorelle è facile bere 100 litri di birra, per lo spettatore è già difficile arrivare al secondo sorso. La comicità è imposta, il dramma resta sul fondo del bicchiere. E quando affiora, sa più di post-sbornia che di empatia.
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