Trap di M. Night Shyamalan

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Trap di M. Night Shyamalan

L’imboscata a cui Trap (2024), ultimo film di M. Night Shyamalan, si riferisce sin dal titolo è quella architettata dalla polizia di Philadelphia e l’F.B.I. per incastrare e catturare Cooper (Josh Hartnett), un sadico serial killer presente al concerto di Lady Raven (Saleka Shyamalan) per accompagnare la figlia Riley (Ariel Donoghue). Ma è anche quella che sfortunatamente intrappola il regista indiano naturalizzato statunitense in un vicolo cieco costruitosi con le sue stesse mani. È proprio il meccanismo pensato per scatenare una divertente e sofisticata caccia all’uomo a sabotare dall’interno il film, minandone la sua coerenza narrativa e non solo. Il gioco escapistico a cui viene sottoposto l’assassino, conosciuto dalle forze dell’ordine come ‘ il macellaio’, diverte fin quando il regista riesce a controllarlo. Proseguendo, i coup de théâtre incominciano a farsi sempre più surreali, inquinati come sono da una buona sorte persistente e da una controparte, le forze dell’ordine, prive quasi del tutto dell’acume necessario per imprigionare un nemico di questa portata. Il problema più evidente di Trap è che questa superiorità non è il risultato né di un’astuzia tale da ritrovarsi sempre un passo avanti all’F.B.I., né di una forza fisica provvidenziale per superare gli ostacoli posti lungo il suo cammino; l’ineluttabilità di Cooper è invece conseguenza esclusiva dell’assistenza del regista. Shyamalan, per evitare che il film si sgretoli su stesso, aiuta sempre più invasivamente il suo protagonista, precludendosi qualsiasi possibilità di divertire intellettualmente lo spettatore, senza neanche approdare al reame del fantastico – esplorato da lui sempre più frequentemente, vedasi Split (2016), Old (2021) e Bussano alla porta (2023) –, elemento che avrebbe fornito al personaggio una misteriosità a questo punto necessaria.

Cooper invece è il classico serial killer prodotto da un’infanzia sofferta che ha causato cicatrici tali da renderlo un mostruoso omicida. Se non fosse per la superficialità e la pigrizia con la quale questi accenni al suo passato vengono sciorinati durante la pellicola da un personaggio – la profiler (Hayley Mills) – asservito unicamente a questo compito, Cooper si sarebbe potuto rivelare uno strumento utile a proseguire l’indagine, onnipresente nella filmografia di Shyamalan, sull’educazione familiare e sull’infanzia come periodo capace di plasmare, con i suoi traumi, la personalità di ogni individuo. Questo studio psicologico veniva affiancato, nei film più riusciti, da una caratterizzazione dei personaggi semplice, quasi fumettistica ma mai banale, in grado di far emergere icasticamente i tratti essenziali di ogni persona e le infinite connessioni che ci rendono, in definitiva, ciò che siamo. Trap sacrifica questo e altri approfondimenti per provare a gestire, fallendo, lo stratagemma hitchcockiano dell’assassino in trappola – Nodo alla gola (1948) ne è l’esempio più fulgido –, il quale però si fa sempre meno coeso e claustrofobico fino a diventare errabondo e schizofrenico tanto quanto il film stesso.

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Pubblicato il:

10 Agosto 2024

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