Twisters di Lee Isaac Chung
Diretto da
Starring
Alla lista dei rifacimenti hollywoodiani che stanno inondando le sale va aggiunto da qualche giorno anche Twisters (2024), sequel-non sequel del popolare e apprezzato Twister (1996) di Jan de Bont. Il regista statunitense di origini sudcoreane Lee Isaac Chung recupera e rinnova la storia della dottoressa Jo Thornton (Helen Hunt) e di suo marito Bill Harding (Bill Paxton), spostando ancora di più il centro dell’attenzione sui tornado e sull’adrenalina da loro scatenata.
Una massa d’aria calda si scontra con una fredda. La prima si dirige verso l’alto, la seconda prende la direzione opposta. Questa lotta coinvolge vorticosamente l’aria intorno, generando, se si raggiungono velocità elevate, un tornado, ovvero una furia incontrollabile che travolge qualsiasi oggetto e persona. Istintivamente, il connubio tra Lee Isaac Chung – reduce dal successo da sei candidature agli Oscar di Minari (2020) – e il cinema ad alto budget può essere spiegato da un fenomeno altrettanto dirompente e frequente: lo sradicamento di nuove e giovani leve dal loro contesto originario, spesso situato tra l’indie e l’arthouse, e l’inglobamento nel cinema spettacolare e ‘a otto zeri’ delle major statunitensi. Eppure tra le campagne dell’Arkansas di Minari e quelle dell’Oklahoma di Twisters vi è una notevole vicinanza geografica, ed emotiva, considerando che Chung ha passato gran parte della sua infanzia proprio tra questi territori. Diventa quindi ancor più coerente e sincera l’ambizione di proteggere questi luoghi che conduce Kate Cooper (Daisy Edgar-Jones) e Tyler Owens (Glen Powell) a fronteggiare coraggiosamente questi mostruosi agenti atmosferici.
I tornado si studiano e si analizzano scientificamente, ma al contempo si domano e si cavalcano – come sostiene Tyler. Questo binomio tra componente razionale e muscolare è incarnata dalla coppia di protagonisti, non in maniera scissa e complementare bensì specchiata. Entrambi infatti sono contemporaneamente sia meteorologi che impavidi cacciatori di tornando, reiterando un ideale del tutto americano che vede in Indiana Jones il suo esempio più fulgido. Per sconfiggere un nemico talmente imponente e pauroso è necessario fornirsi, oltre che d’ingegno, di una considerevole dose di istinto e audacia. Chung di conseguenza abbandona la spensieratezza dell’action, e la tensione, intrisa com’è di disperazione e istinto di sopravvivenza, sfocia frequentemente nell’horror. Nel finale si insinua anche una riflessione sul ruolo del cinema nello scontro tra l’individuo e le proprie paure. La popolazione si rifugia in un cinema per sfuggire alla distruzione di un tornado, il quale però irrompe con tutta la sua potenza sradicando parte dell’edificio e con esso lo schermo, sostituendo quindi alle immagini dei classici horror l’inquietante visione della catastrofe in atto. La metafora è presto servita: lo schermo cinematografico offre solo l’illusione di un riparo dalla realtà, questa invece penetra la sottile membrana che ci separa, trasformando la sala nel luogo ideale per affrontare le nostre paure.
Pubblicato il:
Tag:
Consigliati per te
Barriera Film Festival, cinema oltre i confini, visto dalla redazione di Strade Perdute
Paolo Sorrentino attraverso la sua estetica visiva e poetica ci porta ancora una volta a Napoli, questa volta incarnandola in una donna: Parthenope.
L’uomo e l’attore, la persona e il personaggio, le contraddizioni di un’artista che identificava nel cinema l’opportunità, la conoscenza. Dopo averci raccontato la favola cinematografica di Sergio Leone, Francesco [...]