La anatomia de los caballos di David Vidal Toche

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Oscillando tra un contemplativo rigore formale e una potente riflessione storica, il tema cardine del film La anatomìa de los caballos (2025) è uno: il tempo. David Vidal Toche, regista peruviano in concorso alla 43ª edizione del Torino Film Festival, struttura un esordio alla regia tecnicamente maturo, visivamente ipnotico e capace di sfruttare il mezzo cinematografico per dilatare e sfidare la nostra percezione storica, narrativa e, appunto, temporale degli eventi trattati.
Ibrido tra fantasy e documentario, La anatomìa de los caballos intreccia due epoche lontane, seguendo il cammino spirituale del rivoluzionario Ángel Pumacahua (Juan Quispe Mollenido). A seguito di uno squarcio temporale causato dalla caduta di un meteorite, Pumacahua viene proiettato dal XVIII secolo ai monti andini del XXI secolo; qui incontra Eustaquia (Edith Ramos Guerra), giovane pastora in cerca della sorella smarrita. Lo sguardo rivoluzionario di Pumacahua da una parte e quello disincantato di Eustaquia dall’altra, aprono una riscoperta storica sullo stato ciclico dell’America Latina e sul significato stesso di rivoluzione: «con La anatomía de los caballos ho cercato di esprimere ciò che provo per il mio Paese, nel quale il desiderio di cambiamento sembra sempre destinato a fallire.», dichiara David Vidal Toche.
La concatenazione di epoche distinte spinge ad interrogarsi sul destino ultimo dell’atto rivoluzionario quando apparentemente determinato ad annebbiarsi nel tempo. Lì dove il personaggio di Juan Quispe Mollenido incarna la tenacia, quello contemporaneo di Edith Ramos Guerra sembra donarsi all’inevitabilità della storia, nonché alla totale impotenza dell’individuo. A questo proposito, il film si estende nei campi lunghissimi di una terra che inghiottisce l’umano e si fa più intimo nei primissimi piani dei visi e delle mani terrose, vissute. Una messa in scena che nella sua duplicità e polarità mette in discussione il ruolo dell’essere vivente nel corso degli eventi. Tuttavia, l’elemento che contraddistingue davvero La anatomìa de los caballos è l’uso dilatato del montaggio, dei suoni e della regia, tramite cui la pellicola assume un’atmosfera sacrale, che permette allo spettatore di sentire sulla propria pelle l’influenza stessa del tempo presente, passato e futuro che investe i personaggi. Ogni inquadratura è un frammento carico di tensione rituale, conseguenza di una cura che rivela il chiaro bisogno di raccontare una realtà al tempo stesso universale e familiare da parte di David Vidal Toche.
A questo si aggiunge un approccio a tratti documentaristico, volto a seguire il cammino dei protagonisti senza parteciparvi attivamente; con un’anima neorealista, l’autore peruviano decide di utilizzare attori non professionisti, soffermandosi spesso sui loro volti consunti e donando alla pellicola una firma concreta, sincera. In definitiva, La anatomia de los caballos sfida l’attenzione e costringe lo spettatore ad annullare la concezione classica di narrativa; il tempo si annulla, le epoche si confondono e la dichiarazione finale di Ángel Pumacahua esemplifica perfettamente la ciclicità di una spinta rivoluzionaria destinata a ripetersi: «il futuro è dietro di noi, cominciamo da qui».
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